L'Australia che non c'è
Fatti, cause, conseguenze, soluzioni agli incendi in Australia. La verità contro la disinformazione
Ho pensato molto al modo migliore per cominciare questa seconda “puntata” del Climatariano. E alla fine mi sono arreso al fatto che non c’è modo migliore se non quello di ringraziarvi, di ringraziare tutte le persone che si sono iscritte sulla fiducia, a scatola chiusa. Il Climatariano è una newsletter, un progetto personale che, voglio ricordarlo, mette a frutto un decennio di esperienza quotidiana ed emozione continua per raccontare storie sulla crisi climatica e sulle sue soluzioni. Questo, dunque, è uno spazio critico che può fungere da stimolo e da supporto.
Un altro modo per cominciare è ringraziare chi si è iscritto negli ultimi giorni. Se volete recuperare quanto vi siete persi, basta cliccare qui. Vi ricordo che l’appuntamento è bisettimanale. Quindi segnatevi di controllare la vostra posta sabato 25 gennaio.
Fatte queste dovute premesse, partiamo. Come? Cercando di fare chiarezza sul tema che ha monopolizzato queste ultime settimane di lavoro: gli incendi in Australia.
Cosa sta succedendo in Australia
Innumerevoli incendi stanno interessando il territorio dell’Australia da settimane, da mesi, dall’inizio della primavera australe (il nostro autunno). Le zone più colpite sono quelle dello stato di Victoria e del Nuovo Galles del Sud. Finora sono morte 28 persone, inclusi cinque pompieri, e si stima siano bruciati dieci milioni di ettari (pari a una superficie di 100mila chilometri quadrati, come il Piemonte, la Lombardia, il Trentino Alto-Adige e l’Emilia-Romagna messe insieme) di bush, cioè “una savana semi arida con alberi bassi, fitti o sparsi, fatta soprattutto di erbe e arbusti e simile alla macchia mediterranea”, come l’ha definita Giorgio Vacchiano, ricercatore in gestione e pianificazione forestale della Statale di Milano, in un post diventato molto popolare su Facebook.
Gli animali selvatici morti sarebbero oltre 500 milioni secondo i ricercatori, ma per il Wwf Australia questa cifra potrebbe essere pari a 1,25 miliardi, tra cause dirette e indirette.
Il Nuovo Galles del Sud è lo stato più colpito. Finora sono bruciati oltre cinque milioni di ettari e 1.800 case sono andate distrutte causando decine di migliaia di sfollati.
Nello stato di Victoria gli incendi hanno raso al suolo 1,2 milioni di ettari di vegetazione ed è stato dichiarato lo stato di calamità che consente alle autorità di effettuare evacuazioni forzate e irruzioni in proprietà private. Qui sono morte tre persone, incluso un vigile del fuoco.
Le cause
Anche se gli incendi in Australia in estate sono comuni, questa volta la situazione è di gran lunga peggiore della media. Anche se va subito detto che non si tratta dei roghi più letali. Nel 2009 morirono 173 persone per gli incendi che si svilupparono nello stato di Victoria.
Gli esseri umani sono tra i responsabili di tutto ciò, ma in che modo? Se da un lato esistono – come in ogni altra parte del mondo – criminali, piromani che si divertono a distruggere direttamente la natura attraverso azioni dolose, dall’altro esistono roghi che cominciano per cause naturali, come i fulmini, ma che trovano terreno fertile per propagarsi per diversi motivi. Come la presenza di una “vegetazione che è nata per bruciare: il clima dell'Australia centrale è stato molto arido negli ultimi 100 milioni di anni”, scrive Vacchiano nel suo post, “e gli incendi causati dai fulmini sono stati così frequenti da costringere le piante a evolversi per superarli nel migliore dei modi: lasciarsi bruciare! […] Molte specie del bush contengono oli e resine molto infiammabili, in modo da bruciare per bene e con fiamme molto intense quando arriva il fuoco”. Ma questa volta “le condizioni di siccità sono così estreme che sono in fiamme anche ecosistemi forestali tradizionalmente più umidi e raramente interessati dal fuoco”. Questa è la seconda responsabilità, indiretta, degli esseri umani: temperature sopra la media e siccità causate dal riscaldamento globale, dalle emissioni in atmosfera di gas a effetto serra, dai combustibili fossili.
La disinformazione in atto
L’8 gennaio il giornale Australian diffonde la notizia di 183 persone arrestate per aver appiccato deliberatamente gli incendi in atto, quasi a voler giustificare l’eccezionalità della situazione e sottraendo la responsabilità alla crisi climatica. Ben presto la notizia risulta falsa nonostante faccia il giro del mondo, aiutata nella sua diffusione da account social fasulli (bot e troll) impegnati nel creare disinformazione. In realtà, il numero di persone arrestate o multate, secondo la polizia di Victoria e del Queensland, non è riferito al periodo della stagione degli incendi in corso e cominciato a settembre, ma più in generale a tutto il 2019.
Un altro episodio – sfruttato a suo favore da chi nega che il riscaldamento globale abbia portato a una stagione degli incendi più grave, cominciata prima, con incendi che durano più a lungo e in grado di raggiungere aree mai colpite prima – è quello della mappa realizzata dal grafico Anthony Hearsey e spacciata come un’immagine satellitare della Nasa. Eppure l’autore aveva fin da subito chiarito che l’immagine è una ricostruzione in 3D che mette insieme tutte le aree colpite dagli incendi tra il 5 dicembre 2019 e il 5 gennaio 2020. Aveva chiaramente scritto: “Non è una fotografia”.
La verità e le soluzioni
Le vere cause, quindi, vanno cercate altrove. Vanno cercate nell’incapacità della politica internazionale di fare la sua parte per ridurre le emissioni di CO2 che causano la crisi climatica in corso. Il fallimento della Cop 25 ne è la dimostrazione. Vanno cercate nel governo di Canberra che negli anni ha portato l’Australia a essere il terzo esportatore di combustibili fossili al mondo, dopo Russia e Arabia Saudita. Australia che ancora oggi dipende per il 79 per cento dal carbone, dal petrolio e dal gas (il Regno Unito ha ridotto la sua dipendenza al 40 per cento).
La soluzione è la mobilitazione internazionale che ha portato a donazioni milionarie pur di aiutare i soccorritori e far ripartire velocemente la ricostruzione e la riforestazione. La soluzione sta nella riduzione delle nostre emissioni “con comportamenti collettivi e ad alto impatto”. La soluzione siamo noi.
Siamo noi che dobbiamo agire e chiedere di agire per ridurre la CO2.
C’è un’altra immagine. Questa volta è stata creata per spiegare quali potrebbero essere le prossime vittime, cosa potrà succedere d’ora in poi se non corriamo subito ai ripari. Dopo gli animali toccherà agli esseri umani, a cominciare dalla popolazione più povera della Terra, la più sfortunata. Poi toccherà a tutti gli altri, anche ai ricchi. Perché la crisi climatica non guarda in faccia a nessuno. Tantomeno al portafoglio.
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