Black moms matter
Anche le mamme nere contano: un esempio di come la giustizia sociale si debba raggiungere attraverso quella climatica. E poi, il ritorno di Greta Thunberg.
Qui si parla di crisi climatica, ma si parla anche di soluzioni perché il decennio in cui siamo entrati è il decennio per il clima. Il decennio in cui salveremo la Terra da un futuro incerto, oscuro. Quello che sta per cominciare è un nuovo episodio del Climatariano.
Il movimento per l’ambiente e per il clima può e deve fungere da ariete per tutti quei movimenti che chiedono più diritti, uguaglianza e parità. Perché racchiude in sé la scintilla in grado di far esplodere il raggiungimento di un mondo più equo. Ci eravamo lasciati così nell’ultimo episodio di questa newsletter. Un episodio che ha cercato di chiarire perché il movimento Black lives matter, che chiede parità e diritti per la minoranza nera negli Stati Uniti, abbia molti punti in comune con il movimento per il clima.
Del resto, la crisi climatica colpisce soprattutto le popolazioni più povere, come la comunità afroamericana, che vivono in zone più vulnerabili e che non hanno possibilità di mettersi in salvo altrove in caso di eventi meteorologici estremi o di conseguenze negative per la propria salute.
Condizioni che portano gli attivisti per il clima a chiedere a gran voce che venga riconosciuto il concetto di giustizia climatica. Perché senza giustizia non ci può essere pace.
A conferma di questi concetti, è uscito un nuovo studio che ha cercato di rispondere alla domanda seguente: è vero che alti tassi di inquinamento in atmosfera o l’esposizione prolungata a ondate di calore causate dal riscaldamento globale sono in qualche modo associati a gravidanze difficili, con esiti negativi come nascite premature, con neonati sottopeso o persino senza vita?
La risposta è sì secondo lo studio dal titolo Association of air pollution and heat exposure with preterm birth, low birth weight, and stillbirth in the Us pubblicato sul Jama network open del Journal of the american medical association. In breve, questa ricerca sostiene, dopo aver analizzato oltre 32 milioni di nascite negli Stati Uniti e decine di studi, che l’esposizione a ondate di calore, alti livelli di ozono e di polveri sottili portino a gravidanze a dir poco complicate.
E secondo voi, quali sono le donne che vivono in zone dove l’esposizione a temperature elevate, specie d’estate, o ad alti tassi di inquinamento sono più alte rispetto alla media degli Stati Uniti? Esatto, le donne afroamericane. E più in generale, le donne che appartengono a minoranze etniche e religiose.
Oltre alle donne che soffrono già di problemi di salute, come l’asma, sono soprattutto le donne nere a vivere vicino alle aree industriali, alle centrali che producono elettricità – in particolare da combustibili fossili – dove i livelli di smog sono più alti e le cosiddette isole di calore si formano in modo più frequente. Questo perché attorno a queste aree mancano spazi verdi dove rifugiarsi, parchi e alberi in grado di mitigare la temperatura in modo naturale. O semplicemente perché le famiglie che vivono in queste zone non hanno un condizionatore in casa o non possono permettersi di pagare bollette elettriche salate.
Senza considerare il fatto che negli Stati Uniti queste stesse persone, e quindi le donne incinte, hanno meno accesso a cure mediche e sanitarie adeguate rispetto alla comunità bianca, come confermato anche dalla pandemia da coronavirus che ha colpito soprattutto gli afroamericani.
Condizioni che hanno portato Bruce Bekkar, un ginecologo e ostetrico in pensione, co-autore dello studio, ad affermare l’espressione “black moms matter”, ovvero “le mamme nere contano”, parafrasando lo slogan Black lives matter, legato alla richiesta di giustizia della comunità afroamericana sopraffatta dalle violenze quotidiane della polizia. E Bekkar, non a caso, fa parte anche del movimento climatico Climate action campaign di San Diego, in California. “È tempo di prendersi cura sul serio dei gruppi più vulnerabili”, ha dichiarato.
Per salvare le future generazioni dalla crisi climatica, dunque, arriva una nuova conferma. Per vivere tutti e vivere meglio, dobbiamo partire dal clima, dalla natura, da una forma di sviluppo pienamente sostenibile che tenga in considerazione i nostri limiti e i limiti che dobbiamo rispettare per vivere in armonia con il pianeta che ci ospita. Solo così potremo combattere e sconfiggere anche le diseguaglianze economiche e sociali, e raggiungere la giustizia. Affrontiamo la crisi climatica una volta per tutte per vivere in una società libera dalla discriminazione, quindi dal razzismo.
Vi lascio con una segnalazione. L’attivista per il clima Greta Thunberg ha trascorso gran parte del suo lockdown scrivendo lo script per un podcast dal titolo Humanity has not yet failed, l’umanità non ha ancora fallito, pubblicato proprio oggi in svedese e in inglese dal programma radiofonico Summer. Lo trovate sulle principali piattaforme podcast, come Spotify.
In questo podcast da un’ora e un quarto Thunberg racconta il viaggio che dall’agosto del 2018 a oggi l’ha portata a diventare leader – con oltre 17 milioni di follower complessivi sui social network – della lotta contro la crisi climatica. A parlare con capi di stato e di governo, con leader religiosi, come papa Francesco. A guidare una generazione di giovani che chiede azioni subito, adesso. Prima che sia troppo tardi, come ci hanno spiegato innumerevoli volte gli scienziati e i climatologi di tutto il mondo.
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Il Climatariano nasce dall’idea che il decennio in cui siamo entrati è fondamentale e definirà il nostro futuro perché non ce ne sarà un altro a nostra disposizione. Nasce per offrire un punto di vista già “metabolizzato” sulla crisi climatica. E per conoscere le soluzioni. L’obiettivo è darti una panoramica selezionata, autorevole di quello che accade nel mondo.
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